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  • Writer's pictureRaoul Precht

Bizzarrie fotografiche - parte 1

Scrive Gianni Celati in un’introduzione davvero illuminante, che accompagna le fotografie altrettanto illuminanti di Luigi Ghirri: "...tutte le cose richiedono d’essere guardate in un certo modo, secondo i movimenti e le angolature che ci portano a vederle meglio." E non solo guardate, ma anche fotografate, aggiungerei, tanto che il grande progresso della fotografia contemporanea, una delle sue ragioni d'essere sembra consistere nella scoperta dell’angolazione insolita, di un insolito che però non è più fine a se stesso, ma illumina un oggetto, qualunque oggetto, in una maniera tale da consentirci di vedere in esso qualcos’altro.


Il che si applica del resto non solo agli oggetti, ma anche, se vogliamo, ai paesaggi. Celati continua con una frase che mi sembra ancora più significativa e su cui occorrerebbe meditare soprattutto quando siamo in viaggio, e ci trasferiamo altrove con l'intenzione di vedere qualcosa che manca al nostro repertorio: "... la strana idea che ci sia ‘qualcosa da vedere’, come una qualità assoluta dei luoghi, quotata da un listino di valori. Mentre in realtà non c’è mai niente da vedere, ci sono solo cose che ci capita di vedere con maggiore o minore trasporto, indipendentemente dalla loro qualità." Mi ha fatto pensare al listino dei valori per eccellenza, quello delle guide turistiche, dove i valori sono enumerati, catalogati e descritti con tanto di stelle (o altri simboli equivalenti) per indicare al visitatore ciò che assolutamente non deve perdersi, essendo però del tutto incuranti del fatto che alla fin fine sarà semmai solo la memoria a stabilire un suo inopinato e sprezzante listino, una sua graduatoria dei "posti del cuore", ragion per cui rischieremo di dimenticare ben presto anche i luoghi e le meraviglie più famose e ci rimarrà impresso magari un tramonto in un luogo anodino, se non perfino brutto.


Da combattere strenuamente è quindi anche "...l’idea che ci sia sempre un modo di guardare già previsto, o guidato, dalla cosa che si guarda." Ne consegue che io potrò essere un visitatore di un certo tipo davanti al Colosseo, e completamente diverso o di tutt'altro genere, che so io, nella Plaza Mayor di Salamanca o davanti alla Porta di Micene. Quasi che in definitiva non fossimo noi a vedere, ma siano invece le cose, gli oggetti, i paesaggi, le meraviglie, appunto, a farsi guardare come e quando lo decidono. Una specie di trionfo dell’oggetto sul soggetto, del percepito sul percettore o percipiente.


Ci ho pensato spesso, andandomene in giro per il mondo da bravo turista incauto, stolidamente felice di aggiungere punti al mio carnet, nemmeno alla fine ci fosse un premio; così come, in casi analoghi, non posso non richiamare alla mente il commento di Fernando Pessoa secondo cui "se io viaggiassi, troverei la brutta copia di ciò che ho già visto senza viaggiare." Eh già. Ma allora, il viaggio, il fatto di spostarsi per vedere (altre) cose non servirà forse solo a confermarci nella nostra identità? A dimostrare al mondo, e naturalmente anche a noi stessi, che ancora, malgrado tutto, esistiamo?


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