Tra traduzione e interpretazione: le poesie di Stefan Zweig nella rivista "Inverso"
- Raoul Precht
- Mar 20
- 3 min read
Updated: Apr 14
P)ubblico qui, ringraziando Giovanna Frene per l’ospitalità sulla bella rivista da lei diretta, «Inverso – Giornale di poesia», https://poesiainverso.com/2025/03/17/stefan-zweig-la-fine-di-un-mondo/, la traduzione di cinque poesie giovanili di Stefan Zweig. Escono naturalmente in vista della pubblicazione, per l'editore Ares di Milano, del mio saggio Stefan Zweig. La fine di un mondo, prevista il 27 marzo. Come avvenuto già in precedenza per quelle di Carl Sternheim, uscite su questa stessa rivista, ho fatto qui il possibile per rispettare l’originale (rime comprese) del testo zweighiano, ricreando l’atmosfera dei primi anni del Novecento.
Come spiego nel testo che accompagna la traduzione, Stefan Zweig (1881-1942) non è certo famoso come poeta, e sono anzi in pochi a sapere che cominciò la propria carriera di scrittore con due volumetti di poesia, Silberne Saiten (Corde d'argento, 1901) e Die frühen Kränze (Prime ghirlande, 1906), pubblicati peraltro con due case editrici di un certo peso, la seconda delle quali, Insel, sarebbe rimasta il suo editore di riferimento fino all’avvento del nazionalsocialismo e ai divieti di pubblicazione nei confronti degli scrittori ebrei o reputati non in linea con il nuovo regime.
Due primi volumetti del resto fortunati, almeno agli occhi della critica, che volle vedere nel loro autore una promessa delle lettere austriache e scorse nel suo linguaggio poetico parallelismi evidenti con l’altro “giovane poeta” affermatosi poco prima, Hugo von Hofmannsthal. Altre influenze evidenti, oltre a Hofmannsthal, sono quelle dei simbolisti, di Rainer Maria Rilke e – in misura minore – di Stefan George.

Certo, già ai suoi tempi la poesia era appannaggio di pochi, selezionati lettori, e in termini di pubblico Zweig dovette attendere la pubblicazione del primo volume di racconti, Die Liebe der Erika Ewald (L'amore di Erika Ewald), che uscì nel 1904, per cominciare a costruire davvero quella carriera letteraria che l’avrebbe portato a diventare lo scrittore più tradotto (e più venduto) al mondo, autore, fra raccolte di racconti e biografie, di una serie impressionante di best-seller. Zweig avrebbe insomma presto cambiato strada, dal punto di vista letterario, ma non avrebbe mai rinnegato o abbandonato del tutto la poesia. E se i suoi componimenti poetici non possono dirsi originalissimi, essi testimoniano però una solida acquisizione della sensibilità e del gusto fin-de-siècle, con una notevole attenzione per forme canoniche come il sonetto. Né va dimenticato il suo impegno nel tradurre versi altrui, soprattutto di autori francofoni (Rimbaud, Verlaine, Baudelaire e soprattutto l’amico Verhaeren, solo per fare qualche nome), con una predisposizione naturale tanto per la resa metrica e lessicale precisa quanto per delle efficaci Nachdichtungen, ossia delle rielaborazioni poetiche. Alla poesia Zweig tributava del resto nell’insieme un rispetto quasi maniacale: a diciassette anni – scrive nella sua pseudo-autobiografia Die Welt von gestern (Il mondo di ieri) – sapeva recitare a memoria tutte le poesie di Baudelaire. La poesia era per lui la forma artistica per eccellenza, con cui continuò a cimentarsi in modo sotterraneo per tutta la vita – tanto che un componimento, piuttosto noto e molto malinconico, lo dedicò a sé stesso nel novembre del 1941, in occasione del sessantesimo e ultimo compleanno. Della sua poesia, sempre nel Mondo di ieri, dirà:
„Es waren Verse unbestimmter Vorahnung und unbewußten Nachfühlens, nicht aus eigenem Erlebnis entstanden, sondern aus sprachlicher Leidenschaft. Immerhin zeigten sie eine gewisse Musikalität und genug Formgefühl, um sie interessierten Kreisen bemerkbar zu machen.“ (“Erano versi di vaga premonizione e di empatia inconsapevole, che non nascevano certo da esperienze personali, ma dalla passione per la lingua. In ogni caso, denotavano una certa musicalità e un senso della forma sufficiente a farli notare dalle cerchie che si interessavano alla poesia.”)
Riferendosi poi ai grandi successi ottenuti con la narrativa e la biografia, disse una volta di essere come un “cacciatore vegetariano”, pochissimo interessato alla preda nel suo carniere, e molto, invece, a ciò che gli era in qualche misura sempre sfuggito, ovvero quei misteri della creazione letteraria che la poesia, in particolare, gli sembrava racchiudere. Perché nulla si ama di più, concludeva, dei propri versi.
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