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Writer's pictureRaoul Precht

Flaubert & Co.

Gustave Flaubert
Gustave Flaubert fotografato da Nadar

Il 6 novembre prossimo alle 15, all’Università di Cassino, si svolgerà un incontro con gli studenti nel corso del quale cercherò di comunicare e veicolare il fascino che esercita su di me, e non solo su di me, peraltro la figura di Gustave Flaubert, a poco più di duecento anni dalla nascita. Lo farò in un modo forse leggermente irrituale, parlando cioè di Flaubert sulla base della lettura precisa, insistita e puntigliosa che ne hanno fatto altri tre grandi scrittori come Vladimir Nabokov, Mario Vargas Llosa e Julian Barnes. Il primo con una serie di lezioni universitarie confluite nelle Lezioni di letteratura edite da Adelphi, il secondo con un intero libro dedicato a un’analisi minuziosa di Madame Bovary, dal titolo L’orgia perpetua (Rizzoli), e infine il terzo con un volume ibrido, a metà fra romanzo e saggio, che s’intitola Il pappagallo di Flaubert (Einaudi) e che rappresenta a mio parere uno degli esercizi di più alto virtuosismo narrativo (ed ermeneutico) degli ultimi anni.


Parlerò anche en passant, e sempre a proposito della ricezione dell’opera di Flaubert, di Bourget, Henry James, Sartre, Borges, A. S. Byatt e Philip Roth, e (naturalmente un po’ più in generale) dei compiti e dei limiti della comparatistica, disciplina che mi ha sempre interessato e stimolato, fin dai tempi della tesi di laurea che avevo dedicato al conflitto padre/figlio in Calderón, Hofmannsthal e Pasolini, mettendo insieme le tre lingue e culture che all’epoca (1984) padroneggiavo meglio. In seguito, si è aggiunto l’interesse in particolare per le letterature di lingua francese, inglese, portoghese e rumena, senza tralasciare qualche deviazione episodica verso altre culture. La base delle mie ricerche resta tuttavia quella di allora, nel solco di grandi maestri e cultori della letteratura come Vossler, Auerbach e Curtius, la cui figura e le cui pagine dedicate a Calderón in Letteratura europea e Medio Evo latino ispirarono quasi direttamente la mia tesi di laurea, lavoro che – come diceva acutamente Umberto Eco – è come il maiale, nel senso che non se butta via nulla. Per me, fin da allora la comparatistica (o, se preferite l’altro termine, le letterature comparate) rappresenta idealmente l’implicita negazione di ogni nazionalismo e lo sviluppo, senza soluzione di continuità, dell’idea goethiana di Weltliteratur, in un interscambio perpetuo di esperienze e suggestioni fra le varie culture. Cercherò anche di suggerire un’idea della letteratura come di qualcosa che non ha nulla (o ben poco) a che fare con la realtà, ma che si autoalimenta: l’opera letteraria nasce anzitutto da altre opere letterarie, e non ha confini di sorta; il suo obiettivo, come scriveva flaubertianamente prima e meglio di me lo scrittore svizzero Peter Bichsel, è il fatto stesso del raccontare (e dunque l’aspetto stilistico e formale) e non il suo contenuto, ciò che racconta. E se poi, come sosteneva invece il tedesco Günter Eich, il poeta (o in generale lo scrittore) diventa il granello di sabbia nel motore del mondo, e non l’olio che lo lubrifica, tanto meglio. La letteratura non deve agevolare il lettore, ma rivelarsi sempre una pietra d’inciampo: solo così potrà avere un minimo di risalto, e di senso, nel caos delle nostre esistenze. Perché poi in fondo, come diceva Flaubert – e qui posso anticipare la citazione finale del mio discorso – “quoi qu’il arrive, nous resterons des idiots”.


Che altro dire? Aspetto con piacere chiunque possa venire a Cassino e spero di poter ripetere l’esperienza prima o poi anche in altri atenei e in altre sedi.




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