Finisce, dopo quasi dieci anni, la mia collaborazione alla rivista culturale on-line "succedeoggi" - ma tutte le cose belle, dicono, sono destinate a finire, non ci si può far nulla... Il mio primissimo contributo alla rivista riguardava il nostro essere e sentirci italiani. La scusa (o il pretesto) era un romanzo di Vladimir Lorčenkov, scrittore moldavo che scrive in russo, dal titolo Vse tam budem, letteralmente “Là ci saremo tutti”, ma tradotto dall'editore italiano, Atmosphere Libri (e forse non a caso, come rilevavo allora), Italia mon amour.
La storia è semplice e, come spesso accade alle storie semplici, di una rappresentatività quasi sconvolgente. Nel suo romanzo satirico Lorčenkov racconta le vicissitudini di un intero villaggio della Moldavia, chiamato Larga, villaggio fasullo quanto estremamente possibile e plausibile, la cui unica aspirazione collettiva è quella di abbandonare le inospitali terre moldave per stabilirsi definitivamente nella terra promessa, ovvero... l’Italia.
Per gli abitanti di Langa, vittime di un’allucinazione collettiva, l’Italia è poco meno che il Paradiso in terra, il paese dove tutto è possibile e dove tutti trovano lavoro. Raggiungere l’Italia è l’obiettivo di ciascun moldavo, e ognuno tenta di esaudire questo desiderio a modo suo, mettendo in gioco le poche possibilità che la vita gli offre. C’è chi si camuffa da sportivo, fingendo di dover partecipare a un torneo importante, chi trasforma un trattore in aeroplano o una bicicletta in sottomarino e chi vende i propri organi, ma purtroppo quelli sbagliati… E c’è il più convinto di tutti, la guida, che presume di sapere l’italiano, ma in realtà, per una serie di combinazioni, ha studiato il norvegese, senza mai accorgersi della piccola differenza.
Nella breve trattazione fatta allora del romanzo di Lorčenkov non potevo non chiedermi, pur rendendo anzitutto omaggio all'inesauribile fantasia dell'autore, come si potesse mai considerare il nostro vituperato e sgangherato paese una meta ideale, un punto d'arrivo che per molti fuggiaschi, veri o di fantasia, diventa un dato di fatto, una costruzione mentale indistruttibile. Ne concludevo, anche, che per il lettore italiano, al tema satirico e grottesco doveva per forza di cose sovrapporsi una seconda chiave di lettura, un controcanto malinconico, che ci spinge a chiederci cosa, di questo paese, ci attragga davvero, quanto ci sia di autentico nella nostra identificazione, e quanta parte del nostro amore sia invece il riflesso di un abbaglio. Siamo davvero così diversi dagli abitanti di Langa? Non stiamo forse anche noi rincorrendo un sogno – quello, tanto per dirne uno, dell’eccellenza italiana, tanto caro alla propaganda di qualunque governo, e di questo in particolare – che con la realtà ha così poco a che vedere?
Dieci anni dopo, non posso non porre e non pormi ancora una volta la stessa domanda, che in questi anni non mi sembra abbia trovato (almeno nella mia testa) una risposta soddisfacente. Cos'è che veramente ci attira ancora di questo paese, cos'è che ci spinge a viverci (o a sperare un giorno di viverci o ancora, nel mio caso, di tornare a viverci)? Alcuni menzioneranno il clima, altri la cucina, altri le bellezze naturali, architettoniche, paesaggistiche, altri il fatto (come cantava l'incauto Bennato) che "qui c'è ancora un po' d'umanità" – ma sarà poi vero, o non siamo tutti vittima di una colossale impostura?
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