In margine al romanzo Il mare dei poeti, da poco uscito per i tipi di Bordeaux, riporto qui, per ognuno dei quattro poeti tedeschi di cui racconto le gesta, la scheda biografica acclusa in appendice al libro e i testi tradotti allora, poi confluiti nella rivista Autobus (nn. 3-4, 1980). Per non far torto a nessuno, procedo in ordine alfabetico. In questa quarta e ultima puntata presento Volker von Törne.
Volker von Törne
(Quedlinburg 14/3/1934 – Münster 30/12/1980)
Nasce a Quedlinburg, sui monti dello Harz, figlio di uno Standartenführer delle SS. Dal 1954 al 1956 studia pedagogia a Braunschweig, per passare poi all’innovativo corso di laurea combinato in politica, economia e lavoro presso l’Università di Wilhelmshaven-Rüstersiel, dove dirige anche il giornale studentesco. In seguito, lavora come operaio edile. Trasferitosi a Berlino nel 1962, è redattore della rivista Alternative. Pubblica diversi volumi di poesie, e dal 1962 fino alla sua morte è direttore generale dell’Aktion Sühnezeichen Friedensdienste (ASF), un’organizzazione di volontari volta a promuovere la comprensione e la fratellanza fra i popoli, per la quale compie numerosi viaggi, soprattutto nei luoghi simbolici dell’Europa orientale, come Auschwitz, e in Israele.
Storia
In un libro di scuola
leggo
che nell’ottobre ‘41
la Wehrmacht
non poté conquistare
Mosca
a causa del precoce
gelo
e delle intense
nevicate.
Dovrò
da questo dedurre
che solo le intemperie
poterono fermare
il fascismo,
e null’altro?
Wassili in cammino
Wassili, sdentato
in cammino
Allora i tedeschi
suo figlio lo misero
al muro, qui
Il biancore
del muro fa male
agli occhi
Pensiero di maggio
Parlo di me: Volker Von Törne, nato
nel trentaquattresimo anno del secolo ventesimo,
quando i miei compagni già lottavano contro gli assassini,
quegli stessi che mi allevavano come uno di loro,
a loro immagine e somiglianza:
E bevevo il latte
che mancava all’affamato. E mi vestivo dei panni
rubati ai miei fratelli. E leggevo libri
in difesa del furto. E ascoltavo discorsi
inneggianti all’assassinio.
E chiamavo patria
questo macello, quando già altri popoli insorgevano
contro il mio. E pregavo per la vittoria finale
degli assassini, quando già le città si dissolvevano
nel fumo:
Ed ero colpevole
della morte d’ogni uomo, inconsapevolmente
respirando l’odore dolce dei tigli
dai rami a forma di patibolo.
Poesia d’amore
Nero
un gatto
su polpastrelli soffici come il vento
cammina per i tetti
la notte
Pesanti di stelle
i rami del cielo
pendono
sulla casa
Chiudi
le tendine.
Accendi un lume.
Come sei bella, dico io,
come sei bella.
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